EncroChat, utilizzo di prove acquisite in altro Stato membro in violazione del diritto Ue

Nell’ambito di un procedimento penale avviato a carico di una persona sospettata di atti di criminalità, il giudice non può considerare elementi di prova se la persona interessata non è in grado di svolgere le proprie osservazioni su di essi e se non siano idonei a influire in modo preponderante sulla valutazione dei fatti. Così si è espressa la Corte di Giustizia Ue con la sentenza 30 aprile 2024, nella causa C-670/22 in corso in Germania per traffico illecito di stupefacenti realizzato avvalendosi del servizio di telecomunicazioni cifrate “EncroChat”. Il caso ha consentito di interpretare alcune norme della direttiva “OEI” 2014/41/UE con riferimento a una situazione in cui è stato emesso un Ordine Europeo di Indagine penale (OEI) diretto al trasferimento di prove già in possesso di un altro Stato Ue. Tra le altre cose, i giudici europei hanno chiarito che rientra nella nozione di «intercettazione di telecomunicazioni», ai sensi dell’art. 31 della direttiva 2014/41/UE una misura connessa all’infiltrazione in apparecchi terminali, diretta a estrarre dati relativi al traffico, all’ubicazione e alle comunicazioni di un servizio di comunicazione basato su Internet: tale misura deve essere notificata all’autorità designata dallo Stato membro sul cui territorio si trova la persona sottoposta all’intercettazione. Se lo Stato membro di intercettazione non è in grado di identificare l’autorità competente dello Stato membro notificato, la notifica può essere inviata a qualsiasi autorità dello Stato membro notificato che lo Stato membro di intercettazione ritenga idonea.

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